In-Visibile

Un libro abbandonato sul tavolino del salotto, illuminato fragilmente dalla debole luce grigia di una giornata di fine autunno, dialoga immerso nella sottile polvere aleggiante nell’aria fredda che prova a farsi largo tra gli spifferi di una finestra lasciata aperta. In casa, il rintocco del silenzio è scandito da un “trillo” metallico di un messaggio digitale sul cellulare, posto con cura maniacale sul davanzale.

Difficile da raggiungere. In un minuto ci sono quasi sei squilli, circa uno ogni dieci secondi. Qualcuno starà parlando, al di là di una tastiera luminosa. Oppure avrà una domanda da porre, una richiesta d’aiuto, o un semplice saluto.

Le sedie sono in ordine, in perfetta sintonia col portafrutta posto al centro della tavola. Il pacchetto di caramelle invece è avvolto nel non tepore della mensola appesa nella penombra di una stanza dove non ci va mai nessuno. Faticoso alzare un dito, impegnativo. A volte spaventoso.

Uscire, per evadere dall’apparentemente flebile ed invisibile corazza richiede sforzo: un’agonia che vanta anni di allenamento. Un’immensa necessità di fuggire lontano, non solo con il corpo. E poi andare. Dove? L’asfalto pregno di umidità non stimola i sogni, si resta incollati alla cruda realtà.

Se si potesse dialogare con il sole, i pensieri e le parole bisbigliate al nulla si dissolverebbero come le stelle, quando l’alba schiocca le dita donando energia al giorno che verrà.

C’è insicurezza pura nell’aria. Si vorrebbe rispondere al citofono, ma gli arti restano bloccati, non dialogano con i sensori del comando. In casa non è rimasto nessuno, qualcuno ha spento le luci. Restano gli specchi a riflettere un poco di luminosità, solo loro. Rischiarano una maschera, e un frammento di muro dove è appesa una fotografia in debito di forze. E senza più voce.

Il progetto “In-Visibile” ha l’obiettivo di rendere tangibili gli spessi “malesseri” della mente. Disturbi e sensazioni che invadono gli abissi della personalità e della coscienza, storpiando senza tregua il vivere comune. La finzione è un volto che non esiste, la perfezione calzante sulle curve di un’anima che sfugge di mano.

Undici immagini per rappresentare la “nebbia” che offusca e permea l’Io, rendendolo evanescente. Ma anche solo e impotente. Non esiste una voce amica annunciante speranza, a queste latitudini. Si odono solo urla acute, seppur lontane.

La fotografia, ma soprattutto l’estetica ricercata oltre la soglia visiva, diventano mezzo di rappresentazione onirica sul quale fermarsi a riflettere. L’essere umano resta accovacciato in una densa ombra di fine giornata, per nascondere il “qualcosa” e non lasciar trasparire il “nulla”. Per paura: eremo o scoglio che trascina negli abissi e incaglia i desideri di difesa. Un aiuto in grado di restituire un volto, rendendo visibile e trattabile una facciata apparentemente inesistente.